Sotto fascismo e nazismo le uniche opere d’arte consentite si collocavano tra il realismo kitsch tedesco ed il razionalismo italiano irregimentato.
In Europa, dopo la guerra, il realismo veniva visto, quindi, come politicamente sospetto, cosicchè si assistette ad un rifiorire dell’astrattismo e ad uno spostamento politico-economico-culturale dell’asse mondiale dall’Europa agli Stati Uniti, in arte da Parigi a New York. Si viene così definendo quello che si chiama Espressionismo Astratto, l’arte di Pollock, ad es.: per gli espressionisti astratti ciò che importa è l’impulso creativo dettato dai movimenti dell’inconscio, in un istinto quasi eroico (ed in questo senso in continuità con l’arte europea precedente, dal modernismo al razionalismo) di continua ricerca anche di una definizione dell’arte (in questo proiettato nel futuro). L’Espressionismo astratto stava, tuttavia, diventando una moda soffocante, l’arte si stava sempre più allontanando dalla realtà e diveniva incomprensibile se non a pochi esperti, la domanda su cosa fosse l’arte non trovava risposta e la pretesa di non rappresentare niente, di non avere icone, sembrava diventare un capriccio.
La Pop Art si accorse che bisognava proporre qualcosa di diverso, che l’arte doveva tornare comprensibile, allontanarsi dall’inconscio ed avvicinarsi alle icone che ci circondano da ogni parte e che sarebbe sciocco ignorare (Large Coca-Cola, 1962). Andy Warhol ebbe il merito di capire che per fare davvero controcultura bisognava dipingere contenuti nuovi e rivoluzionari, ma usando la forma tradizionale: il colore, magnifico, degli Espressionisti Astratti, steso istintivamente, facendo anche scivolare delle gocce che, non più simbolo dell’inconscio, diventavano il tramite tra l’arte seria e la Pop Art. Warhol seppe sfruttare un’estetica non solo in grado di attirare l’attenzione, ma anche bella, che da allora portò il suo lavoro sotto i riflettori. Continua a leggere