Francisco Goya è un pittore spagnolo a cavallo tra ‘700 ed ‘800, e che quindi sta proprio a stento nella nostra periodizzazione. Tuttavia, la sua pittura è di una straordinaria modernità. Goya, vivendo in una Spagna in definitiva crisi, finiti gli splendori del periodo moderno, in cui aveva avuto un impero su cui non tramontava mai il sole, dipinge un paese dilaniato dai conflitti sociali, mangiato dalla superstizione e dalle guerre.
Il quadro in analisi, assoluto capolavoro, rappresenta, infatti, l’esecuzione dei patrioti spagnoli durante l’invasione napoleonica e nasce come risposta al quadro di Gros sulla capitolazione di Madrid [1810], in cui Napoleone sembra accettare la pace da un popolo umiliato e sconfitto che lo prega e lo ossequia. Questa tragedia collettiva, unita alla crudezza della guerra, fa perdere a Goya la fiducia nei principi illuministi che lo aveva accompagnato fino ad ora.
Tutto ciò che si può dire sul quadro e su questa fase della pittura di Goya è contenuto nel quadro stesso, approdo delle ricerche del pittore spagnolo.
Come abbiamo accennato, Goya si trovò quasi costretto ad abbandonare il pensiero illuminista alla vista degli orrori della guerra e della servitù: non a caso la lanterna, simbolo dell’illuminismo, sta dalla parte dei francesi, come a dire che l’illuminismo è stata una creazione francese, che doveva essere esportata da loro, ed invece ciò che essi stanno esportando non sono altro che fucili.
I fucilieri sono disposti in diagonale e spersonalizzati, poiché non se ne vede il volto: non si può capire il perchè del loro gesto, il perchè della guerra, insensato orrore. La loro vicinanza ai condannati aumenta l’insensata crudeltà dell’evento.
Lo stagliarsi sullo sfondo di un monastero allude non solo alla cristianità offesa dalla violenza, ma anche alla complice collaborazione del clero spagnolo con l’invasore napoleonico: ora il monastero assiste all’abominio e se ne fa complice, accogliendolo tra le sue colline. E’ un monastero svuotato, fisicamente, di senso: percepiamo il vuoto in cui lo stesso clero si è chiuso, in cui la sua propria ottusità l’ha condannato, nel rinunciare alla sua missione sociale. Continua a leggere