Giovanni Fattori era un pittore che credeva nella capacità evocativa della macchia di colore, un macchiajolo, un pittore per cui segno e colore si fondono in un’unica pennellata, che nel suo tratto continuo dà una fortissima evidenza plastica alla figura, come a rendere l’immediatezza sintetica, per nulla attenta ai particolari, del colpo d’occhio, dell’impressione, avvicinandosi in questo alle idee dell’impressionismo -che in Francia imperava in quegli stessi anni-, come a dimostrare che spesso tra due movimenti culturali ciò che li differenzia è solo lo sviluppo differente di comuni presupposti [La rotonda di Palmieri, 1866].
Rispetto agli impressionisti, Fattori, tuttavia, sembra -sottolineo, sembra- meno emotivamente coinvolto: la sua pennellata è ormai placata nella memoria, non è frutto del gesto immediato e spontaneo. Sotto le apparenze si cela, invece, l’atteggiamento di chi prende tanto a cuore la realtà, la verità di ciò che vede, che vi vuole seriamente riflettere sopra, perchè Fattori dà voce all’indole di chi pensa che la più profonda partecipazione alla realtà passi attraverso una sorta di distacco, di sospensione del tempo, nella ricerca di quell’equilibrio tra soggetto ed oggetto che è la vera eredità culturale del mondo classico.
Fattori sente un palpito, un anelito panteistico di unione con la realtà: l’uomo non è più il supremo interprete della natura, ne è uno dei tanti componenti, cosicchè l’uomo-pittore non si astrae dalla natura, non la guarda dal di qua del cavalletto, ma vi si fonde, sottostando alle sue regole. Quell’invenzione che è la prospettiva Rinascimentale, quella volontà di costruire architettonicamente la realtà con le regole matematiche dell’uomo, cade di fronte ai quadri di Fattori, così stipati sulla tela, dove l’uomo appare integrato in un sistema molto più grande di lui, che sconfina dal quadro, che non può essere davvero imprigionato nella piccolezza della tela, come si illudevano di poter fare i pittori dal ‘400 in poi [Lorrain, Paesaggio con figure danzanti (Matrimonio di Isacco e Rebecca), 1648], con delle intuizioni, come abbiamo visto, già di Manet. Continua a leggere